Materano – Lucia
Lapacciana
Cert
vet m'abbost d vdàj n'stuzz d vi'j ca mbrm mi
jiacchij iund' a n 'a scjan d lisc iund'a llà
nagghj, d crstion'r ca porln mendr ca camun'n,
mmijnz a c'vai i a c'van....i iund a cur mumend
pijnz a com s pot fej a matt ogni'stouzz o pest
sij p ffej na' cittè perfatt fott cu tutt u
stezz'r ms n'zemm, d spozij vacond i chijn i
alla fn d signael ca' ijn man i ca nan szep c l'accaugghij.
Per me scrivere in dialetto non è
solo un'esercitazione letterale"(direi piuttosto
difficile!)il mio ricordarlo, parlarlo,
immedesimarmi in una situazione o entrare in un
discorso oltre a rendere l'idea col colore
tipico e con termini onomatopeici, mi
fa bene al cuore e alla mente! Un
tuffo nel mio passato,,, perchè all'epoca era di
uso corrente il linguaggio dialettale, al posto
dell'italiano!Nel mio caso, poi, essendo il mio
un dialetto, per niente simile
all'italiano,...bisognava tradurre dal dialetto
in lingua nazionale e, ovviamente, specialmente
per noi bambini la qualcosa era piuttosto
difficile e risultava, il più delle volte
disastrosa...! Oggigiorno i giovani hanno
trasformato il dialetto in una lingua a loro più
comoda,, direi imbastardita. specie nella
cadenza, dal vicino dialetto pugliese (dato che
Matera geograficamente confina con la Puglia)!
Anche per questo motivo cerco di impegnarmi a
scrivere e parlare la mia lingua madre cercando
di trasmetterla, più pura possibile, ai posteri!
Grazie a voi per l'opportunità che mi date.
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Veronese –
Maristella Tagliaferro
Certe volte me
basta vedar un scorcio che se verse nel bel meso
de un paesagio insulso, un saltar fora de luci
ne la nebia, el ciacolàr de do pasanti che i se
incrocia nel viavai, par pensar che partendo da
lì metarò insieme toco a toco la cità parfeta,
fata de tochetini misià col resto, de istanti
separadi da intervali, de segnali che uno el
manda e no'l sa chi le tol su.
Il mio veronese è sicuramente molto
italianizzato. Appartengo a una generazione per
la quale parlare la lingua locale era tabù:
dovevo capirla ma non mi era permesso parlarla,
ogni trasgressione era severamente punita. Ho
cominciato a parlarla da giovane adulta,
rientrando a Verona dopo una full-immersion
nell'inglese durata due anni, periodo durante il
quale avevo dis-imparato l'italiano. Non so
assolutamente scrivere il veronese, perciò
declino ogni responsabilità per quanto riguarda
l'ortografia.
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Catanese –
Clelia Francalanza
Ci sunnu voti ca m'abbasta na taliata ca si para
nto menzu di n panorama streusu, n'acchianata di
luci ntra l'aria carrica d'umidu, u parraciari
di dui ca s'ancontrunu nto menzu da strada, ppi
pinsari ca partennu di ddocu putissi accucchiari
pezzu a pezzu a città perfetta, fatta di
pizzuddi nichi e ammiscati cu tuttu u restu, di
mumenti spartuti streusi, di signali ca unu
manna senza sapiri cu jè ca si nni fa 'ntisa
cugghiennuli.
Non ho certezza sulla corretta scrittura.
Riesco solo a scrivere nel modo più fedele che
ho potuto le parole-suono .
I termini sono quelli d’uso nell’hinterland
catanese, il raggio di comuni che distano dal
capoluogo non oltre i 10-15 km. Oltre questa
distanza, i suoni e i termini differiscono
ancora notevolmente. Catania confina con 5
province : Messina, Enna, Siracusa, Ragusa,
Caltanissetta). La presenza imponente dell’Etna
segna e separa ulteriori confini-differenze
linguistiche.
La parola più complicata da rendere in un'altra
lingua-parlata è "incongruo" . In catanese c'è
un aggettivo che si usa come caratteristica
umana personale: streusu. Ho usato quel termine
e l'ho ripetuto anche a proposito di
"Intervalli" che separano senza alcuna cadenza
prevedibile gli istanti (le impressioni, le
sensazioni, le intuizioni) con cui ognuno di noi
colora i "Luoghi" dove gli tocca passare o
vivere.
Essere "streusi" significa non uniformarsi,
mantenersi imprevedibili almeno in
parte..insomma l'essere streuso è l'umanità,
quella che nessun macchinario è ancora in grado
di riprodurre nella sua spontanea autenticità.
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Ferrarese - Susanna
Tartari
Dil volt am basta nà suesa
cla’s verza in tal bel mez dal paesagg, un
fiurir ad lus in t’là nebia, al ciacarar ad dù
pasant che t’incontri in tal viavai, par pensar
che a partir da lì a mitrò asiem tuchin par
tuchin la zità parfeta, fata ad tuchin armisià
col rest, ad mument separà da dl’interval, ad
segnai che un al manda senza saver chi li cuiarà.
Su invito di
Maristella, mi sono cimentata in questa
traduzione, ma credetemi, con molta difficoltà e
sapendo che avrei fatto molti errori.
Provengo da una famiglia di tradizione
contadina, ma proprio grazie ai miei nonni ho
imparato ad amare i libri fin da piccola. A loro
però, va anche la responsabilità della mia
completa, o quasi, ignoranza del mio dialetto.
Da alcuni anni cerco di capirlo e parlarlo, ma
scriverlo è molto difficile e quindi, nel testo
da me tradotto, avrò riportato molti errori.
Pensate che ho cercato aiuto dai miei genitori,
ma anche loro sono in difficoltà per lo stesso
motivo. “I miei nonni pensavano che il
dialetto fosse riservato ad un ceto sociale
povero e contadino e per questo, ora io non lo
conosco. Solo perché loro volevano il meglio per
noi nipoti”… Li ho amati e ancora li
ringrazio ogni giorno per ciò che mi hanno
trasmesso e li perdono, come spero farete voi,
se la mia scrittura dialettale è errata.
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Spezzino - Carla Rossi
e Mariavittoria Ponzanelli
—nella forma parlata tra le famiglie di
contadini della Righeta— di: Carla Rossi.
Testimonianza raccolta da: Mariavittoria
Ponzanelli.
A e vote me basta en tòco de müro che se rèva en
ter mezo d'en grüpo de cà,
na lüze che avansa en te la nebia, e ciarle di
dói che pasan che i s'encontran en ta strade,
per pensae che partendo da quer pünto a meteò en
seme tòco per tòco a cità perfeta, fata de
tochéti remescià co o resto, d'istanti separà da
intervàli,
de segnàli che ün i mànda e i ne sà chï a pïa.
Tradurre in dialetto spezzino è un modo per
stare vicino a mia madre e conoscere meglio la
sua storia. Il dialetto è la sua lingua
naturale: anche se durante il periodo fascista
ne viene ostacolato l'uso, continua a vivere tra
le pieghe della realtà ufficiale.
È la seconda volta che prendo parte alle letture
organizzate da Maristella traducendo insieme a
mia madre ? per telefono ? con la supervisione
linguistica di mio padre, che subentra a lavoro
concluso prestando l'orecchio ai suoni della
nostra traduzione.
Il 28 marzo ero presente alla Lettura collettiva
multilingue de "Le avventure di Pinocchio" di
Collodi, che si è svolta alla Biblioteca
Nazionale Centrale di Roma, dove moltissime
persone hanno letto -in più di 20 lingue- e
tradotto brani del testo di Pinocchio in vari
dialetti italiani.
E mi sono accorta che gran parte dei
partecipanti per tradurre ha dovuto coinvolgere
parenti, amici, vicini di casa. Queste letture
sono diventate quindi un'occasione per sentirci
più vicini alla nostre origini e alla nostra
cultura. Perché la cultura ci fa sentire vivi ed
è anche terapeutica.