Pinocchio in tutte le lingue del mondo
XIV Settimana della lingua italiana nel mondo
Consolato Generale d'Italia a Gedda
26
ottobre - 4 novembre 2014
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a Gedda

Blog di Maristella Tagliaferro

Greco di Calabria

Cenni storici sul Greco di Calabria
di Salvino Nucera

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Le minoranze linguistiche calabresi patrimonio dell'umanità
La valle dell'Amendolea
Sitoweb Paleariza.. sul territorio grecanico
Il progetto sul Parco della cultura grecanica
Pubblicazione di Marisa Guarnieri sul dialetto di Roccella Jonica entro il Progetto Vivaldi

  sul prof. G. Rohlfs
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Album-foto su Fb sulle Caldaie del latte e la Rocca del drago di Roghudi
I tradotti testo e audio-video delle righe comuni del Pinocchio
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alla Biblioteca nazionale di Roma

 Le avventure di Pinocchio
 righe finali del cap. XXXV

Traduzione di Liliana Cuzzilla 
 
voce Diana Squillaci
 audioregistrazione di Mariavittoria Ponzanelli

Nel grand’urto della caduta la candela si spense, e padre e figliuolo rimasero al bujo.
— E ora?... — domandò Pinocchio facendosi serio.
— Ora, ragazzo mio, siamo bell’e perduti.
— Perché perduti? Datemi la mano, babbino, e badate di non sdrucciolare!
— Dove mi conduci?
— Dobbiamo ritentare la fuga. Venite con me e non abbiate paura.
Ciò detto, Pinocchio prese il suo babbo per la mano: e camminando sempre in punta di piedi, risalirono insieme su per la gola del mostro: poi traversarono tutta la lingua e scavalcarono i tre filari di denti.
Prima però di fare il gran salto, il burattino disse al suo babbo:— Montatemi a cavalluccio sulle spalle e abbracciatemi forte forte. Al resto ci penso io.

Appena Geppetto si fu accomodato per bene sulle spalle del figliolo, il bravo Pinocchio, sicuro del fatto suo, si gettò nell’acqua e cominciò a nuotare. Il mare era tranquillo come un olio: la luna splendeva in tutto il suo chiarore e il Pesce-cane seguitava a dormire di un sonno così profondo, che non l’avrebbe svegliato nemmeno una cannonata.
Sto mega stìpima ti epiàsai pèttonda to cerì èsvisti, ce ciùri ce jò emìnai sto scotìdi.
—Ce àrte?--aròtie o Pinòkkio jènonda lipimèno.
--- Arte, pedìmmu, ìmmaste màgni ce chamèni.
--- Jatì chamèni? Dòtemu to chèri , ciùrimu, ce vrete na mi zzilistrìete!...
--- Pu me perrìse?
—Èchome na jirèzzome na fìgome metàpale. Elàte methèmu ce mi sciastìte.
 Pos ipe otu, o Pinòkkio èpiae ton ciùrindu an do chèri: ce parpatònda panda sti pundi ton podìo, esclapìai ìsmia anu sto cannaròzzo tu agrikù zoù: podò eperàsai oli tin glossa ce appidìai te tri surìe ton dondìo.

Ma prìta na càmusi to mega appìdemma, to burattino ìpe tu ciurùndu: anevàte ste zzàppemu ce angagliaetème me olo to putìrisa. Jà ta adda tharrò egò .

Pos o Geppetto estiàfti calà calà apànu ste zzappe tu pedìutu, o calò Pinòkkio, ti ìzzere cino pu ìpighe kànnonda, èristi sto nerò ce acchèroe na nnatèzzi. I thàlassa ìto àsqueto san enan alàdi: to fengàri elàmbie me oli ti strafonghìandu ce to Piscikàni ìpighe ciumònda m’enan ìplo tosso vathìo ti manko mia kannunàta to ìsoe azzunnì.

 

@MarcoPolo_Pinocchio a Gedda

Le avventure di Pinocchio
 righe dal cap. XXXII

 Traduzione e voce di Salvino Nucera 


Riprese Video di Francesca Prestia
VideoSlide di Clelia Francalanza
 

 
Immagini di Carmine Verduci
VideoSlide di Clelia Francalanza
 

—  Levami una curiosità, mio caro Lucignolo:
      hai mai sofferto di malattia agli orecchi?
— Mai!... E tu?
— Mai! Per altro da questa mattina in poi  ho un orecchio che mi fa spasimare.
— Ho lo stesso male anch’io.
— Anche tu?... E qual è l’orecchio che ti duole?
— Tutti e due. E tu?
— Tutti e due. Che sia la medesima malattia?
— Ho paura di sì.
— Vuoi farmi un piacere, Lucignolo?
— Volentieri! Con tutto il cuore. 
— Mi fai vedere i tuoi orecchi?
— Perché no?  Ma prima voglio vedere i tuoi, caro Pinocchio.
— No: il primo devi essere tu.
— No, carino! Prima tu, e dopo io!
— Ebbene, - disse allora il burattino - facciamo un patto da buoni amici.
— Sentiamo il patto.
— Leviamoci tutti e due il berretto nello stesso tempo: accetti?
— Accetto.
— Dunque attenti!
     E Pinocchio cominciò a contare a voce alta:
— Uno! Due! Tre! —
Alla parola tre i due ragazzi presero i loro berretti di capo e li gettarono in aria.
E allora avvenne una scena, che parrebbe incredibile, se non fosse vera.
Avvenne, cioè, che Pinocchio e Lucignolo, quando si videro colpiti tutti e due dalla medesima disgrazia, invece di restar mortificati e dolenti, cominciarono ad ammiccarsi  i loro orecchi smisuratamente cresciuti, e dopo mille sguaiataggini finirono col dare in una bella risata.
- Guàlemu ena spilo, agapimmènomu Lucìgnolo:
canèna kerò epòniese asce mia arrustìa st’aftìa?
- Canèn kerò!... C’esù?
- Canènan kerò! Jà to addho pùccia attepurrò ce pai ambrò acomì echo en’aftì ti mu canni na ponìo.
- Ciòla egò echo to pònossu.
- Ciòla esù? Ce pio ene to aftì ti su ponài?
- Ola ta dio. C’essèna?
- Ola ta dio. I arrustìamma mmiàszi?
- Fiffèome ti ene otu.
- Mu cànnise mia charapìa, Lucìgnolo?
- Su tin canno! Me oli tin cardìa.
- Mu cànnise na ivro t’aftìasu?
- Po’ dde? Prita thelo na ivro ta dicàsu, agapimmèno Pinòcchio.
- De, to protinò èchise na isso esù.
- De, pedìmmu! Prita esù, plen apìssu egò!
- Calà – ipe tote to burattìno – pose calì fili cànnone ena orcarìo.
- N’acùome tuto orcarìo.
- Guaddhòmmasto tin berrìtta ismìa: thèlise?
- Arte avlepòmmasto!

Ce o Pinòcchio acchèroe na metrì me spilì fonì:
- Ena! Dio! Tria!
Ston logo “tria” ta dio pedìa epiàsai te bberrìttendo andin ciofalì ce te ppetàsai ston àero. Ce tote efàni enan prama ti sonni dighi apìstesto an den ito alithinò.
Efàni, thèlome ipi, ti o Pinòcchio ce o Lucìgnolo pote evlepìthissa oli cidìo piammèni andin lipìa ammiasimmèni, den emìnai lipiamèni ce cholismèni, accheròai na canunìusi t’aftìando parapoddhì fuscomèna ce apìssu chigghiàra chacchalumìa etegghiòsai m’ena anicto jèlima.





Asinelli di Debora Serrentino



http://www.soundfan.it/FOTO/STORIA/aeg_magnetophone_1945.jpgIl racconto dell'esperienza sul campo di mia madre,
studentessa universitaria a Messina nel 1945-46

Nell'autunno del 1945 mia madre, Sara Romano, che viveva a Reggio Calabria, frequentava l'ultimo anno all'Università di Lettere Classiche di Messina. Insieme ad un gruppetto di studenti della prov. di RC, sotto la guida di un docente che  aveva collaborato negli anni '30 alla ricerca documentale del prof. G. Rohlfs, partecipò alla raccolta di materiali audio, tramite  magnetofono, a Bova, Cordofuri e Gallicianò.
La famiglia di mia madre ha vissuto dall'estate 1943 alla primavera 1944, a S.Eufemia d'Aspromonte e là lei aveva assorbito parole e linguaggio locale, mentre in precedenza, in casa, l'italiano era l'unica lingua ammessa-parlata, l'eccezione era mia nonna che se si arrabbiava usava le esclamazioni in napoletano, che ho ascoltato a lungo anche io.
Il professore e quel gruppetto di studenti dedicarono a questo lavoro alcuni sabato di quell'autunno, andando nei tre paesi ed intervistando i passanti e poi trascrivendo su carta quanto registrato in audio. Col magnetofono in funzione, con un'autonomia di sessanta minuti, tanto duravano le batterie-pile, il professore parlava in italiano, gli studenti reggini dicevano il termine corrispondente in dialetto reggino/aspromontano e i passanti interpellati il corrispondente termine grecanico.
L'attenzione-passione per l'oralità come testimonianza viva-trasparente a me è arrivata anche dai suoi racconti, da  quelle occasioni di incontro-ascolto di cui più volte mi ha reso partecipe.
 
Clelia Francalanza